Simona Abbate, ingegnere per l’ambiente e il territorio, dottoressa di ricerca in ingegneria industriale (focus su ingegneria meccanica ed energetica). Energy & Climate campaigner di Greenpeace Italia, ci ha parlato della causa intentata contro la maggiore industria energetica italiana, ancora legata quasi interamente ai fossili, e il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa depositi e prestiti, principali azionisti di Eni
Della prima climate litigation italiana, a chi accusa Greenpeace (e ReCommon, altra istante insieme a 12 cittadini) di aver intentato una causa contro Eni senza che la società violi alcuna norma, l’abruzzese attivista ambientale e climatica risponde che intanto “non è vero che non si stiano commettendo crimini: in seguito alla modifica della Costituzione, Eni sta commettendo crimini; sta modificando l’ambiente, aumentando le emissioni in atmosfera e quindi lede i diritti delle prossime generazioni, contribuendo ad aumentare la temperatura del Pianeta“.
Le ragioni sono essenzialmente legate alla “giustizia sociale e climatica, perché con l’aumento della temperatura media, sono le popolazioni più fragili ad esserne colpite“, prosegue la campaigner. “Abbiamo portato Eni in tribunale perché è un colosso energetico, è uno dei primi 30 emettitori di anidride carbonica e abbiamo deciso di concentrarci su di essa perché è il nostro colosso fossile”.
Eni cambi il suo modello di sviluppo
“Nel 2021 – aggiunge Abbate – le emissioni di Eni sono state maggiori di quelle del resto del Paese. Sia chiaro, noi non vogliamo che Eni chiuda, ma deve cambiare il proprio modello, nelle proprie attività, passando dalle energie fossili a quelle rinnovabili“. Un phase out dai fossili, insomma, coerentemente con quanto prevede l’Accordo di Parigi, per stare nel percorso e rispettare il suo obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2°C, possibilmente entro 1,5°C.
“La prima udienza dovrebbe essere verso fine novembre“, aggiunge l’ingegnere.
Pniec imbarazzante
Sull’aggiornamento del Pniec, la cui scadenza di invio a Bruxelles era fissata allo scorso 30 giugno e inviato sul filo degli ultimi minuti, l’attivista di Greenpeace afferma che “il documento è imbarazzante; quanto successo con il comunicato stampa, poi smentito, è ridicolo. Un invio che poi si è scoperto non essere il documento ma solo una bozza, una sintesi. Nessuno al momento lo sa. Non è credibile, -dice Abbate, soprattutto – non è sufficiente“.
Buona visione e buon ascolto.






Lascia un commento