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Eolico offshore galleggiante, Balanda: l’Italia non perda questa opportunità

Per InterVento, le interviste di Via col Vento, abbiamo incontrato Ksenia Balanda, direttrice generale Italia per l’eolico offshore della joint venture tra Renantis e BlueFloat Energy

Secondo GWEC, il Global Wind Energy Council, l’Italia è il terzo mercato potenziale al mondo per quanto riguarda l’eolico offshore galleggiante (cosiddetto floating), con una capacità stimata in 200 GW. Secondo il recentissimo Rapporto di WindEurope Energia eolica in Europa: statistiche al 2023 e prospettive per il 2024-2030”, al 2030 l’eolico europeo supererà i 500 GW, di cui circa 400 GW nell’Unione Europea. Di questi oltre 300 onshore e quasi 100 offshore; in Italia si raggiungeranno 18 GW onshore (8 in meno ripetto alle previsioni della bozza di PNIEC) e 2 GW offshore. Secondo lo Studio Strategico della Community Floating Offshore Wind, (un’iniziativa di The European House – Ambrosetti in collaborazione con Renantis, BlueFloat Energy, Fincantieri e Acciaierie d’Italia), per decarbonizzare l’Italia saranno necessari al 2050 almeno 20 GW di eolico offshore galleggiante.

Dottoressa Balanda, come si conciliano questi numeri?

I numeri sono quelli che ha sintetizzato lei. L’eolico offshore galleggiante ha un grande potenziale tra le tecnologie rinnovabili. Risolve la scarsità di spazio e vento, con quelli disponibili a mare; ovvero la rimanente scarsità delle risorse per quanto riguarda il suolo o il vento, uno spazio che purtroppo ormai non è disponibile da tutte le parti dell’Italia.
Penso a come dover aumentare le quote della produzione rinnovabile entro il 2030 o entro il 2050, quindi da questo punto di vista l’eolico dovrebbe essere la tecnologia che lo consente, soprattutto l’eolico galleggiante che è ormai collaudato. E con la tecnologia di tipo bottom fixed (quella che prevede l’installazione di monopali fissi al suolo, ndr) non potevamo andare tanto avanti, almeno per quanto riguarda questo Paese.

Quindi l’eolico offshore galleggiante è un’occasione unica per l’Italia, essendo nel bel mezzo del bacino del Mediterraneo dove anche tutti i Paesi intorno stanno adottando piani abbastanza aggressivi: Spagna, Francia, Grecia, insomma tutto il bacino Mediterraneo. L’Italia è pure posizionata bene per poter mettere le piattaforme nel mare e produrre energia non solo fine a se stessa, ma anche dal punto di vista industriale. Perché l’importanza di avere i porti? Dovremmo impiegare le eccellenze tecniche che abbiamo in relazione a cantieristica e ingegneria per avviare un’industria che porterà una quantità di posti di lavoro che non è paragonabile alle altre tecnologie rinnovabili e persino anche alle tecnologie tradizionali. Quindi sprecare questa occasione sarebbe un vero peccato.

Come spesso sottolinea anche lei, Paolo, noi siamo caratterizzati da una certa lentezza e assenza di un potere decisionale forte e unico, che metta insieme tutti gli operatori, tutti i tasselli di questo settore nascente. L’Unione Europea ci dice quali siano i nostri nuovo obiettivi, dobbiamo raggiungerli, pertanto c’è da lavorare fin da ora. Il mercato dell’eolico offshore galleggiante, ad oggi, è stato spinto dagli sviluppatori e, grazie anche alla nostra Community, da qualche anno è spinta anche dal settore industriale.

Penso poi anche alla nostra nuova associazione AERO, dedicata alle energie del mare in generale. Quindi abbiamo aperto il nuovo capitolo, sempre destinato a spingere le decisioni verso i policy makers, per poter avviare davvero questa transizione e il lavoro necessario per portare i gigawatt entro il 2030 e al 2050, ovviamente. Peccato che il Piano Nazionale (Energia e Clima, il Pniec, ndr) adesso preveda 2,1 GW, anche se adesso è in fase di revisione. Speriamo che arriveremo almeno ai numeri che ha dichiarato Terna: 8 GW di connessioni offshore da autorizzare entro il 2030 e questo già sarebbe un buon inizio. Anche se noi abbiamo sempre spinto per i 10 GW; perché questo è fattibile nei prossimi 5 anni, da adesso fino al 2030, almeno per portare la prima energia dal mare nel sistema nazionale.

Questo mi porta al secondo focus, proprio sui progetti di Renantis e BlueFloat Energy, di cui lei è la responsabile per l’Italia: sei progetti eolici offshore, considerando tutti, con Odra e Kailia che sono già in fase di VIA al Ministero. Oltre a Minervia, Nora 1 e 2 e Tibula, che globalmente sono 5,5 GW, cioè poco più della metà di quei 10 gigawatt di cui parlava.

Quali tempistiche pensa possano essere verosimili per mettere il cosiddetto “primo acciaio in acqua” per i primi due, e quali si prevedono per gli iter degli altri quattro?

Il nostro obiettivo è quello di portare i primi due progetti, quelli che stanno adesso nella fase di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) a produrre la prima energia entro il 2030. Sono progetti relativamente più velocemente realizzabili, sotto il profilo tecnico.
Poiché le profondità non sono molto alte, essi si appoggiano sulla tecnologia di esportazione dell’energia elettrica dall’impianto fino a terra. Terra ferma direttamente, quindi non serve la sottostazione galleggiante che potrebbe non essere del tutto pronta tecnicamente, collaudata completamente entro il 2030.

L’idea era quella di sfasare il nostro portafoglio progetti tra diversi anni dall’entrata in esercizio degli impianti: i primi 2,5 GW di Kailia o Odra dovrebbero arrivare in acqua entro il 2030, per la maggior parte dell’impianto. Gli altri quattro progetti, di conseguenza dovrebbero entrare in esercizio negli anni successivi: 2031, 2032/2033 per per i progetti che sono in acque più profonde, come ad esempio Minervia e Tibula, quindi il progetto calabrese e quello a nord della Sardegna.
Abbiamo pensato lo sviluppo del nostro portafoglio progetti in questo modo, anche per poter cogliere le migliori tecnologie che saranno disponibili andando avanti con gli anni: noi prevediamo un’accelerazione veramente importante nei prossimi 3-4 anni dal punto di vista puramente tecnologico.

Perché è vero che l’Italia è stata un po’ lenta nel suo avvio, ma vediamo che gli altri paesi stanno andando avanti molto velocemente. Noi abbiamo, come sa, un portafoglio ampio e importante (circa 20 GW in sviluppo, ndr) e vediamo che in Europa in generale, parlo geograficamente, si stanno facendo grandi passi di accelerazione.
Vediamo i tender (le gare d’appalto, ndr) in Francia, vediamo il quadro regolatorio in discussione per la Spagna, dove ad esempio gli spazi marittimi e le aree idonee sono stati già individuati.

Qualcosa che manca qui in Italia è di legittimare il lavoro fatto finora, soprattutto dagli operatori. Ma l’approccio più sano sarebbe portare questa tecnologia qui, che non è solo nostra, è un approccio di tutti gli operatori -pochi, ma buoni- che stanno andando avanti con l’iter autorizzativo dei progetti.

Osserviamo che i portafogli progetti sono divisi tra quelli che si possono mettere in esercizio entro il 2030 e quelli che poi andranno avanti.

Il governo deve dare la visione futura, perché il quadro fino al 2028 del Decreto FER 2 è piccolo: non si può sviluppare un’industria nuova, un mercato nuovo di questo tipo, quando hai l’orizzonte di tre anni, è assolutamente controproducente.

Penso che se il governo si dotasse di un Piano per 2030, 2040 e 2050 – che sarebbe quanto più auspicabile da tutti – allora questo potrebbe dare il segnale, quel segnale importante, mancante ancora per portare a più operatori consapevoli per poter inserire l’eolico offshore anche nei piani industriali di produttori di acciaio, di produttori di cemento, di aziende che producono vari tipi di strutture, di produttori di sottostazioni elettriche e così via. Quindi tutti i big player che abbiamo persino in Italia, (come Prysmian che produce i cavi dinamici, come uno tra gli unici al mondo) non guardano ancora al mercato italiano, purtroppo.Attenzione che parliamo di produttori di turbine che sono per lo più europei, che adesso sono concentrati sui mari del Nord Europa, perché lì va avanti l’eolico offshore.

Purtroppo, in Italia non possiamo garantire alla catena di fornitura, la supply chain, alcuna continuità oltre il FER 2 che come sa stiamo aspettando da quattro anni, è sempre imminente.

Una delle questioni che, infatti, volevo affrontare con lei e di cui parzialmente ha già dato una risposta è quella sul Piano dello Spazio Marittimo, rispetto al Decreto Energia che è uscito circa due mesi fa, che prevederebbe due porti come hub per l’eolico offshore. Entrambi nel Meridione, a Porto Empedocle e Gioia Tauro, che potrebbero dare un impulso al settore.
Tornando al lato politico e governativo, e per quanto mi riguarda andrebbe spinto molto, è il recepimento della Direttiva europea RED III sulle energie rinnovabili e in particolare sull’eolico.

Dal punto di vista della pianificazione degli spazi marittimi, per noi, dico in generale per il mercato, per gli operatori sarebbe anche controproducente ricominciare da zero. Vogliamo evitare che il governo azzeri tutto e andiamo avanti da capo. Ormai abbiamo perso troppo tempo, quindi come minimo deve essere riconosciuta agli operatori, l’idoneità a oggi delle aree scelte; un Piano che dica: andate avanti, sviluppate.

Per quanto riguarda il discorso sui porti è benvenuta questa iniziativa. Anzi, sarà importante anche vedere quali saranno questi porti, perché noi ci siamo interessati di questo tema: sin dall’inizio del 2021 stiamo analizzando e parlando con con le varie aree portuali.
La cosa particolare dell’eolico galleggiante è che ti potrebbe aprire la possibilità dell’uso delle aree portuali che finora non sono state riconosciute o non sono state utilizzate. Possiamo vedere questo in vari porti anche in Puglia, in Sicilia; anche in Sardegna si hanno delle aree portuali che possono essere utilizzate. Mi dispiace che parliamo solo di due.

Inoltre sono due porti nella stessa macroarea, benché affacciati su mari diversi, che dovrebbero essere Porto Empedocle e Gioia Tauro.

Ma questo non lo sappiamo ancora. Dopo l’uscita del Decreto Energia deve aprirsi il bando dove le autorità portuali, insomma i porti, possono dichiarare il loro interesse di partecipare. Non vorrei che fossero i porti già prestabiliti: è molto importante vedere questi porti proprio dal punto di vista tecnico assieme agli operatori, quindi assieme a quelli che poi faranno la costruzione o l’assemblaggio delle piattaforme o l’assemblaggio finale, con le torri con le turbine. Il porto, cioè, deve avere certe caratteristiche cominciando dalle banchine, finendo con l’assenza di fari portuali, cioè aree, restrizioni aeree e così via. Speriamo che anche questo bando esca presto e vedremo un interesse importante da parte degli operatori.

L’ultimo passaggio che volevo affrontare con lei è relativo alle critiche che, in genere, parte delle comunità locali muovono verso l’eolico offshore: il paesaggio, le attività di pesca, quelle del turismo, la biodiversità; e, sotto il profilo tecnico, che secondo alcuni il vento che c’è nei bacini marini italiani non sia sia adatto, o che c’è una supply chain poco sviluppata.

Noi siamo partiti sin dall’inizio con il dialogo con il territorio, con vari stakeholders locali. Fa parte del nostro DNA e del nostro processo di sviluppo. Quindi, onshore od offshore non importa; anzi offshore ci tenevamo di più; perché, come con qualsiasi tecnologia nuova, vanno spiegate le cose e certi miti vengono sfatati.

L’ambiente

C’è tanta preoccupazione anche per il fatto di non conoscere o ipotizzare qualcosa che davvero non ci sia: dal punto di vista ambientale, cioè, questi progetti sono sostenibili, più di tantissimi altri. Non danneggiano il fondale. La tecnologia galleggiante permette di ricreare le specie di nursery ittiche.

Per essere ancora più forti nella nostra posizione, abbiamo coinvolto nell’iter autorizzativo, quindi nella valutazione di impatto ambientale, tutti i centri nazionali di ricerca, la Stazione zoologica Anton Dohrn; il professor Silvestro Greco, uno dei più famosi professori biologi marini italiani ed europei, che è il nostro coordinatore scientifico. Abbiamo puntato molto al supporto delle università, i centri di ricerca, le eccellenze italiane e internazionali, dentro questo processo di studio di impatto ambientale.

Dopo la fase dello scoping ambientale, che non dovevamo fare ma l’abbiamo fatta comunque, abbiamo visto che la maggior parte non era neanche preoccupata per il paesaggio. Le maggiori preoccupazioni erano di carattere ambientale. Noi ci siamo impegnati per spiegare, per far vedere che non è così e che, anzi, che non crea danni, crea benefici.

La pesca

Abbiamo aperto i tavoli di lavoro con il settore della pesca, con le associazioni nazionali e adesso procediamo anche con quelle locali, sia in Sardegna, che in Puglia, perché anche qui facciamo vedere quanto noi abbiamo visto molto chiaramente durante le nostri indagini. Penso che tutti gli operatori che hanno fatto indagini marine, geofisiche e ambientali hanno visto la situazione dei fondali, ma soprattutto dove la pesca a strascico diventata un po’ fuori controllo. Quindi, da questo punto di vista noi vediamo anche i benefici di mettere gli impianti e di interdire per un certo periodo la zona, lasciare che la stessa possa avere il suo ripopolamento delle specie e in questo caso anche contribuire a ricreare questo sistema marino, purtroppo un po’ danneggiato da vari fattori. Quindi questo è puramente ambientale.

Il paesaggio

Capiamo che a qualcuno dia fastidio un puntino piccolo meno di un’unghia sull’orizzonte, perché si può vedere il mare aperto; a qualcun altro non dà alcun fastidio né preoccupazione. Sono piuttosto del carattere, magari ambientale, o se questa àncora tecnicamente può mantenere la piattaforma non nella loro posizione. Perciò noi abbiamo ricevuto tutti i tipi di domande e da questo punto di vista cerchiamo di rispondere, abbiamo reso disponibili i rendering sin dall’inizio.

L’indipendenza energetica

Quando ti dicono, vai oltre i 100 km, sarebbe già l’altro Paese, nel caso pugliese. Questo è il primo punto e il secondo punto è che qui bisogna molto consapevolmente prendere una decisione:

Vogliamo avere un pizzico di indipendenza energetica in più entro il 2030 o vogliamo non so aspettare che arrivi qualcuno mi miracolosamente e ci risolve tutti i nostri problemi? Abbiamo una quota di import (energetico, ndr) inguardabile, per un Paese che come l’Italia poteva già essere autosufficiente.

Purtroppo, stiamo ancora lì, lentamente sperando e aspettando.

Il turismo

Per quanto riguarda il settore del turismo, lo so che magari ti dicono “no, io voglio il mio paesaggio intatto”; ma io ho fatto un’indagine con un’operatore importante nel settore turistico che abbiamo anche reso pubblico; abbiamo analizzato tantissimi turisti, sia italiani che stranieri, abbiamo fatto delle domande con rendering veri dei nostri impianti e abbiamo ottenuto la risposta positiva. Non sarebbe accaduto alcun calo, anzi. Purtroppo, nessuno pensa anche al turismo ecosostenibile, che attrae tantissimi turisti nuovi, proprio per il motivo di avere i tuoi alberghi alimentati da energia prodotta qui, di fronte a te nel mare.

Quindi per questo magari serve più tempo, noi cerchiamo di portare argomenti veri: non è che io voglio così, Ksenia balanda ha deciso di fare lì (l’impianto, ndr). Abbiamo deciso di mettere impianto lì perché tecnicamente è il posto dove si è trovato l’equilibrio tra la quantità del vento e l’impatto visivo, l’impatto ambientale, la possibilità tecnica di costruzione, quindi non sono posti scelti a caso. Sono posti scelti dopo lo studio, dove magari ho già sacrificato tecnicamente la producibilità, il vento migliore, l’angolo migliore o sacrificato un po’ per renderlo meno visibile, più lontano dalla costa. E più accettabile dal punto di vista paesaggistico, dal punto di vista dell’impatto visivo.
Quindi va ribadito che questi progetti sono responsabili. Ne sono certa che è stato fatto così, ma anche quelli di altri operatori consapevoli e responsabili, che la scelta del posto non è a caso.

Oltre certamente a quello dell’indipendenza e della sicurezza energetica, sembra sfuggire a tutti un fattore decisivo che è quello climatico. Perché gli ultimi rapporti scientifici ci stanno dicendo che i dati stanno peggiorando il quadro e in questo, naturalmente, le tecnologie rinnovabili -e in modo particolare l’eolico, specialmente l’eolico offshore, per quanto riguarda la capacità di generazione- sono le migliori tecnologie per efficienza ed efficacia nell’abbattimento delle emissioni di CO2. C’è una questione di capacità teorica, di quello che può essere installato e quindi di producibilità di energia dal vento.

Sì.

Video: Renantis

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