Per InterVento, abbiamo parlato con Lorenzo Tecleme del disegno di legge regionale della Sardegna sulle energie rinnovabili e dei negoziati Onu sulla biodiversità (COP16) e sul clima (COP29). Tecleme è scrittore (Guida rapida alla fine del mondo, Castelvecchi 2022) e giornalista (ha collaborato con La Repubblica, Domani, Jacobin Italia, Il Manifesto, Fanpage; attualmente con l’emittente televisiva spagnola Canal Red). Video intervista integrale in calce.
Nel quadro generale che parte dalla Direttiva UE cosiddetta RED III (Direttiva 2023/2413 sull’accelerazione delle energie rinnovabili in UE) e arriva agli ultimi provvedimenti del governo (Decreto Aree Idonee, Decreto Agricoltura, Decreto FER e il Decreto Legislativo sui regimi autorizzativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili -il cosiddetto Testo Unico Rinnovabili- attualmente in discussione in Parlamento), si innesta la discussione pubblica sul futuro delle energie rinnovabili in Italia. A partire dalla discussa legge regionale della Regione Sardegna. Abbiamo chiesto al giornalista, di origine sarde, perché è così importante.
L’insolita alleanza
Il problema è complesso è parte da lontano, spiega Lorenzo Tecleme, che fa risalire la questione almeno a 20 anni fa. Negli ultimi 3/4 anni “questo è diventato il tema, non solo dal punto di vista politico.” Una serie di fattori che vanno dalla “spinta del Green Deal europeo all’abbassamento dei costi delle tecnologie delle energie rinnovabili, le semplificazioni normative (che dovranno arrivare)”, ricorda lo scrittore, hanno fatto sì che sia stata presentata “una grande quantità di progetti eolici e fotovoltaici in Sardegna“. Questo ha destato preoccupazione nell’opinione publica regionale che si riferisce spesso alla questione legata allo sviluppo delle rinnovabili come “colonialismo energetico: cioè la regione -secondo questo pensiero- verrebbe utilizzata come piattaforma energetica per spostare l’energia prodotta in Sardegna in particolare verso le industrie del nord Italia.”
Tecleme sottolinea l’esistenza di una “alleanza insolita tra comitati di sinistra e la destra mediatica sarda che ha portato una forte pressione sul Consiglio Regionale“. Il risultato è stata questa proposta di legge regionale, che deve essere ancora approvata dal Consiglio regionale, “una legge complicata” – nella definizione del giornalista – “che dovrebbe portare al 99% di indisponibilità del territorio sardo allo sviluppo delle energie rinnovabili“.
La tempesta perfetta
“Quello che sta accadendo in Sardegna dal punto di vista politico – ci dice il giornalista – è la tempesta perfetta. Il mondo dell’ecologismo, nel resto d’Italia e specialmente nel Meridione, deve imparare al più presto questa lezione. Bisogna discuterne subito, prima che si arrivi al livello di polarizzazione e di scontro enorme che c’è oggi in Sardegna.” “La percezione”, sottolinea, “è che la transizione è un processo che non li sta coinvolgendo. Una sensazione diffusa di un grande cambiamento: visivo (paesaggio) ed economico (non me ne viene niente in tasca). Su questa percezione, che ha anche fondamento nella realtà, si inserisce poi tutto il negazionismo di ritorno che stiamo vedendo”.
Il tema ‘assalto rinnovabile’ ha anestetizzato totalmente il dibattito sul fossile
Quello vero e proprio, aggiunge Tecleme, “e quello furbo, legato al mantenimento dello status quo fossile e peggio a investire sul nuovo fossile, con l’intelligenza di non farlo esplicitamente: il brand ‘finiamola col petrolio’, non funziona più, il brand ‘prendiamocela con le alternative> funziona perfettamente. Sulla chiusura delle centrali a carbone prorogata al 2029, nessuno ha battuto ciglio in Sardegna, non solo la Regione, ma nessun partito, nessuna forza ecologista, nessun movimento sociale ha dato la minima risposta su questo. Questo dà l’idea di come il tema “assalto rinnovabile” abbia completamente anestetizzato il dibattito sul fossile“. Stessa cosa, sottolinea ancora il giornalista “sta succedendo sul metano: in Sardegna sono previsti fino a 3 rigassificatori sulle coste, questione portata (e che ritorna spesso in auge) dall’Unione Sarda sul metanodotto che dovrebbe collegare Italia e Algeria passando dalla Sardegna e anche su questo non esiste la minima opposizione.”
Paesaggio e rinnovabili, ma non sul fossile
Perché la questione del paesaggio si pone oggi così forte contro le rinnovabili come invece non è stata in passato e e non è oggi contro le fossili? Il giornalista ci risponde perché “c’è un elemento strutturale e uno politico. Quello strutturale è che le rinnovabili, per loro natura, sono diffuse, le vediamo. Le energie fossili ci appaiono come una magia, (sono nascoste, non si vedono). Questo è un paradosso, perché vuol dire che noi centralizzando, delocalizziamo i problemi: i tumori e le conseguenze che sono ben peggiori di quelle paesaggistiche. Magari il problema del fossile fosse che è brutto; il problema del fossile è che ammazza la gente. E questa è una grande rimozione nel dibattito pubblico. Poi il fossile deturpa anche il paesaggio, con gli impianti e ancora di più con il riscaldamento globale. Nel 2021 c’è stato l’incendio del Montiferru, uno dei peggiori incendi della Sardegna che in una notte ha mandato in fumo, letteralmente, un paesaggio identitario. Però il collegamento non viene fatto.“
COP16 e COP29
Cosa aspettarsi dalla Conferenza Onu sulla biodiversità (COP16) e sul clima (COP29)? Questa edizione della COP sulla biodiversità, che si tiene a Cali in Colombia è quella più partecipata, con 21mila accrediti, ricorda Tecleme. Sia per quella sul clima che per quella sulla biodiversità, il successo sarà dato o meno dalla finanza che verrà messa sul piatto dal nord del mondo, per attuare le azioni definite necessarie, sottolinea il giornalista. “C’è una richiesta di 200 miliardi l’anno“, sulla biodiversità, vedremo se sarà raggiunto l’accordo.
La COP29 sul clima, “sarà una COP finanziaria, cioè nessuno si aspetta risultati sulla mitigazione, rimandati alla COP30 in Brasile (a Belem). Da quella di Baku mi aspetto uno scontro tra Nord e Sud Globali: il G77 andrà a chiedere i soldi per fare la transizione oltre che quelli del Loss and Damage, per risarcire i danni climatici. L’Occidente, Stati Uniti soprattutto, Regno Unito, Svizzera, Europa un po’ meno, è sempre stato molto restio a mettere i fondi. Interessante sarà il ruolo della Cina.“






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