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Un po’ di leggerezza in un’industria dell’eolico offshore che sembra prosperare sul dramma

Il nuovo contributo di Bruno Geschier, presidente del Comitato per l’Eolico offshore galleggiante del WFO (World forum offshore wind)

Ammettiamolo, ci sono tutti gli elementi di una buona soap opera: alta posta in gioco, tasche profonde, una tensione che brucia lentamente e un cast di personaggi che sono in parti uguali innovatori incompresi e cattivi societari. Le turbine eoliche, quelle gigantesche sentinelle bianche e cigolanti, sono i presunti eroi di questa grande narrazione – solo che, a differenza dell’eroe medio, non stanno salvando nessuno dai supercattivi, ma stanno per lo più cercando di evitare di essere schiacciati dalla burocrazia o di rimanere invischiati in una tempesta di proteste ambientali e burocrazia.

In primo luogo, c’è la costante lotta con gli elementi. I parchi eolici offshore sono come quel fratello che si ostina a fare tutto nel modo più difficile: costruire strutture enormi su mari imprevedibili, dove il vento è una diva e le onde hanno più sbalzi d’umore di un concorrente di reality. È un gigantesco gioco di “galleggerà o farà flop?”. Ma non c’è niente di meglio che installare macchinari da un miliardo di dollari in un luogo in cui nemmeno i gabbiani vanno se non per fare un giro gratis.

Poi c’è il triangolo amoroso: sviluppatori contro ambientalisti contro governi. Gli sviluppatori sono i protagonisti audaci, a volte arroganti, che sognano di sfruttare la potenza del vento per salvare il mondo (e fare fortuna). Gli ambientalisti? Sono la bussola morale, che ricorda costantemente a tutti che non si tratta solo di energia rinnovabile, ma di salvare le balene, evitare la decapitazione degli uccelli e garantire che le turbine non vengano accidentalmente scambiate per montagne russe ad alta velocità per pesci. E i governi, beh, sono i disordinati intermediari burocratici che si destreggiano tra permessi, sovvenzioni e cercano di rendere tutti felici, anche se riescono a malapena a tenere accese le luci dei loro uffici.

E il dramma non si ferma alle soap opera politiche e ambientali. C’è la saga in corso di “Chi può costruirlo più economico e più veloce?” che è una battaglia tra gli ingegneri, che vedono le turbine come un enorme puzzle meccanico da risolvere, e gli appaltatori, che cercano solo di fare profitti fingendo di capire come funziona l’energia eolica. Attenzione: non è così. Nel frattempo, entrambi i gruppi sono in costante tensione con la crescente quantità di regolamenti, burocrazia e ritardi delle catene di fornitura che servono solo a rendere il dramma più succoso. Quando una parte del progetto inevitabilmente fallisce (e succede sempre), i media si scatenano: titoli come “Problemi con le turbine” e “Problemi con i parchi eolici!” riempiono l’etere come se si trattasse di una sorta di reality show.

E chi può dimenticare le rivalità aziendali? C’è sempre una grande compagnia che cerca di superare tutte le altre con “la turbina più grande e potente del mondo”, ma poi si scopre che ha un difetto di progettazione che la fa guastare più spesso dell’auto di un adolescente. O forse hanno silenziosamente accantonato un progetto per motivi finanziari, pur facendo una gran faccia pubblica sulla “sostenibilità” e l’“energia verde”. Nel frattempo, le società più piccole si affannano per entrare in azione, cercando disperatamente di evitare gli avvoltoi che volteggiano sopra le loro teste, in attesa di un affare succoso e troppo costoso per accaparrarsele e trarre profitto dal loro duro lavoro.

Ma aspettate, c’è di più! Non si può avere un dramma sull’eolico offshore senza un colpo di scena: entrare nella crisi della catena di approvvigionamento globale. Dall’improvvisa carenza di materiali rari ai ritardi nelle spedizioni e agli aumenti dei tassi d’interesse che fanno dubitare che siamo davvero nel XXI secolo, questi contrattempi offrono molte opportunità per i momenti di “chi avrebbe potuto prevederlo?”, facendo sembrare anche gli sviluppi più banali come una partita di poker ad alta posta.

L’industria dell’eolico offshore è un costante vortice di contraddizioni: la sostenibilità che si scontra con l’avidità delle compagnie, i guerrieri ecologici che combattono con i burocrati e gli ingegneri che lottano contro gli elementi. Non si tratta solo di costruire parchi eolici: si tratta di navigare in una tempesta di ego, errori e ritardi, il tutto cercando di far girare le turbine.

E chi non ama un bello spettacolo con un contorno di energia pulita?

di Bruno Geschier

* Bruno Geschier è il presidente del Comitato per l’Eolico offshore galleggiante del WFO (World forum offshore wind) ed è stato per 10 anni, fino a poco tempo fa, Direttore Vendite & Marketing di BW Ideol. Oltre a fornire servizi di consulenza senior e ad esplorare future opportunità di carriera a lungo termine nel settore delle energie rinnovabili e dell’eolico offshore, Bruno dedica la maggior parte del suo tempo a promuovere l’eolico offshore galleggiante presso i responsabili politici, le istituzioni finanziarie, gli sviluppatori di asset e le utility di tutto il mondo. È regolarmente relatore e presidente di eventi sull’eolico offshore negli Stati Uniti, in Asia e in Europa e co-organizza il più grande evento annuale al mondo dedicato esclusivamente all’eolico offshore galleggiante (FOWT, Floating offshore wind turbines), di cui è anche presidente fondatore del comitato scientifico e tecnico. Bruno ha avviato il gruppo di lavoro sull’Eolico offshore galleggiante di WindEurope, che ha presieduto per 3 anni, e fa parte del comitato consultivo di diverse iniziative internazionali del settore dell’eolico galleggiante.

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