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Cetacean Translation Initiative, usare l’IA per decodificare le comunicazioni delle balene

Per gli avvocati queste scoperte potrebbero spingere il mondo a riconoscerne i diritti legali

Per secoli gli esseri umani hanno tracciato una linea tra loro e le altre specie. Dopo aver dimostrato che gli animali provano dolore e possiedono coscienza, resta un’ultima frontiera: il linguaggio. Ma anche questa barriera sta cadendo grazie all’intelligenza artificiale.

Come riporta Katie Surma per Inside Climate News, il biologo marino David Gruber ha fondato nel 2020 il Cetacean Translation Initiative (CETI), un’organizzazione che utilizza AI, robotica e nuove tecnologie per decodificare le comunicazioni dei capodogli. Questi giganti marini possiedono i cervelli più grandi della Terra e sono sorprendentemente simili agli esseri umani.

CETI rappresenta un “esperimento di ascolto profondo” che rifiuta la gerarchia tradizionale tra specie. Il team di oltre 50 esperti registra le “codas” dei capodogli – esplosioni ritmiche di clic – usando droni, sensori e idrofoni. I dati vengono analizzati con modelli di AI personalizzati, simili a ChatGPT ma addestrati solo su suoni di balene.

L’alfabeto dei capodogli

I risultati sono straordinari: CETI ha scoperto un “alfabeto” dei capodogli con 100-600 tipi distinti di codas, pattern che cambiano con il contesto conversazionale, dialetti regionali ed elementi simili a vocali. Le balene hanno strutture linguistiche complesse, non semplice codice Morse.

In un articolo pubblicato su Ecology Law Quarterly, Gruber e colleghi – tra cui il linguista Gašper Beguš e gli avvocati del programma More-Than-Human Life (MOTH) della New York University – sostengono che questa ricerca potrebbe rafforzare le protezioni legali per i cetacei, incluso il riconoscimento di diritti fondamentali.

Per i capodogli vivere significa percepire il mondo attraverso il suono: il rumore umano – motori, sonar militari, trivellazioni – non è un fastidio ma una forma di tortura che disorienta, causa emorragie e perdita dell’udito. “Una balena sorda è una balena morta“. La flotta commerciale globale conta oltre 100.000 navi e gli impatti uccidono circa 20.000 balene l’anno.

Due diritti proposti per i capodogli

Gli autori propongono due diritti: libertà dalla tortura e diritto alla cultura. I capodogli possiedono tradizioni culturali – rotte migratorie, dialetti, tecniche di caccia – trasmesse per generazioni. I piccoli “balbettano” prima di padroneggiare le chiamate, le femmine assistono ai parti collettivamente. La pesca commerciale uccide 300.000 balene l’anno come catture accessorie, interrompendo questa trasmissione culturale.

Il precedente storico esiste: negli anni ’70 le registrazioni dei canti delle megattere galvanizzarono il movimento Save the Whales, portando a leggi di protezione. Il movimento per i “diritti della natura” ha già ottenuto riconoscimenti legali in Ecuador, Colombia, Nuova Zelanda e altri paesi.

I Māori della Nuova Zelanda considerano le balene (tohorā) come antenati e fratelli maggiori. Il trattato He Whakaputanga Moana Declaration del 2024 riconosce già le balene come persone giuridiche con diritti specifici. Leader Māori collaborano con CETI per implementare questa visione.

Gli ostacoli sono enormi: interessi economici rischiano di perdere da un riordinamento della personalità giuridica. Ma i ricercatori sottolineano che proteggere le balene significa proteggere noi stessi: siamo parte della stessa rete di vita.

Clicca per vedere il video:

Un capodoglio emette suoni mentre nuota vicino all’isola caraibica di Dominica. I capodogli emettono schiocchi con le “labbra foniche” presenti nella testa, formando dei motivi chiamati “codas”. Video: Amanda Cotton/CETI

Foto e video: Project CETI, Amanda Cotton

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