Da giorni, prima della chiusura e come sempre, in tanti (quasi sempre erano non addetti ai lavori) si erano affrettati a dichiarare COP28 un fallimento. Risultato finale? La Conferenza delle Parti dell’ONU sul cambiamento climatico di Dubai si è chiusa con un risultato storico.
Ma riavvolgiamo il nastro. Negli scorsi anni avevo seguito i negoziati sul clima delle Nazioni Unite da vicino, ma comunque da lontano, attraverso il racconto di quello che accadeva ai negoziati di Ferdinando Cotugno; più nei dettagli tecnici e da dentro i negoziati, attraverso i bollettini di Italian Climate Network. O, più in generale, con gli episodi di Gianluca Ruggieri al Giusto Clima.
Proprio grazie a ICN, cui mi sono associato a inizio anno, quest’anno ho avuto l’opportunità di seguire i negoziati direttamente. Da dentro, accreditato ONU, come parte del suo Team COP28. Come Observer, insomma (grazie Jacopo, grazie Marirosa!).
E, nonostante qualche mio timore iniziale, sono arrivato, siamo arrivati riunione dopo riunione all’inizio della COP, giunta quest’anno alla sua ventottesima edizione. Preoccupato, sì: dopotutto stavo per entrare in una realtà nuova: il mondo che negozia sul clima con tutte le sue quasi 200 Parti. Stati e Paesi di tutto il mondo. Qualcosa che conoscevo, ma da lontano appunto. Ora, invece, con esperti di COP da diversi anni.

COP28
Dal 30 novembre allo scorso 13 dicembre (doveva finire il 12, in realtà) ho vissuto, quasi in apnea, due settimane intensissime: le riunioni, le sveglie, la conciliazione dei tempi tra le attività in Italia e quelle a Dubai, con tre ore di fuso di differenza. E poi, soprattutto, lo studio: l’Accordo di Parigi, che sì, lo conoscevo, ma ora era da conoscere “a prova di esame”, quasi. Naturalmente, tutto è partito da lì, quello che c’è oggi. E poi Glasgow, il Climate Pact del 2021. E Sharm el-Sheikh e l’Implementation Plan del 2022. I meccanismi, gli strumenti: il Loss and Damage, il Global Stocktake, gli NDC. E ancora la Mitigazione, l’Adattamento, la Finanza climatica; la Just Transition, il Global Goal on Adaptation. E le sale, la piattaforma. I meeting, gli incontri, le conferenze stampa. Gli incontri informali, le plenarie, i side events. E ancora riunioni, l’organizzazione delle giornate (due settimane lunghe e velocissime da passare). Gli articoli, i bollettini. I documenti, i testi, le bozze. Le nuove bozze.
I Rapporti IPCC e UNEP, CMCC e WMO. Copernicus e il giorno più caldo. Il mese più caldo, il semestre più caldo. L’anno più caldo della storia. 2 gradi-possibilmente-1.5. Al Gore e la Blue Marble. Di Caprio e Don’t look up. riscaldamento globale, crisi climatica, transizione energetica, trasformazione della società.
Un frullato di tutto quello che sto facendo (meglio, cercando di fare) da quando ho deciso di impegnarmi nella lotta per il clima; quello che sto studiando, quello di cui cerco di occuparmi. Zippato e compresso in 13 giorni. 234 ore (escluse circa 6 ore per notte per dormire e recuperare energie fisiche e mentali) passate sui monitor. A volte quasi dentro i monitor. In cui per me è sparito tutto il resto ed è esistita, praticamente, solo COP28.

Il mondo alla Plenaria dei Popoli
La Plenaria delle Persone, la Plenaria dei Popoli. Un evento che mi ha segnato profondamente. Un fiume di lacrime, di rabbia e commozione, ascoltando Ainin dalla Palestina, il giovanissimo Joseph dal Sud Sudan. E tutto il mondo dei più vulnerabili e, al tempo stesso, dei più forti. Dei più politici, senza la politica. Le lacrime, ancora, mentre ne scrivevo.
L’attesa dell‘ultimo lunghissimo giorno. Attesa del risultato, del testo, dei testi che mettessero insieme tutto quello che era successo negli undici giorni precedenti di negoziazioni. Poi, d’improvviso, a tarda sera un documento, IL documento, che sbarazzava il campo dagli scettici, da quelli che “è un altro fallimento”; da quelli che “la COP non serve a niente”, da quelli che “i negoziati, il multilateralismo è morto e va superato”.
E lo scoop proprio di e da Italian Climate Network: nel testo più importante, quello sul Global Stocktake, (ri)appaiono clamorosamente i fossili, dai quali bisogna allontanarsi rapidamente. Quelli da cui bisogna uscire. Sarebbe stata la prima volta se fossero rimasti in un testo finale prima della discussione conclusiva.
Una notte, (l’ultima?), di stanchezza e di frenesia, in attesa di conoscere il testo definitivo che sarebbe arrivato alla Plenaria conclusiva: “All texts are intended to be published at 06:00 am on Wednesday 13 December, following which the President will convene plenary at 09:30 am.“
“Transitioning away from fossil fuels”
Quel documento, insieme a tutti gli altri, è stato pubblicato alle 3 della notte italiana, le 6 di Dubai. Quel testo, incredibilmente, era lo stesso della sera. La storia non era finita, la Storia si stava per compiere. Insomma, come saprete certamente se state leggendo, quel risultato, sperato e inatteso, è arrivato. Il testo è stato approvato e la Plenaria del 13 dicembre 2023 ha raggiunto l’accordo, per consenso, cioè all’unanimità (qui non esistono maggioranze) tra TUTTI i Paesi del mondo, TUTTE le Parti, affinché ci si allontani dai combustibili fossili, accelerando in questa decade, per arrivare allo zero netto di emissioni, il Net Zero, al 2050.
Gioia, incredulità, stupore. Per un risultato atteso dal 1992 e ventotto edizioni di COP, dalla prima di Berlino nel 1995. Gli abbracci di chi era lì e di quelli a distanza. Le lacrime di chi stava solo assistendo. I messaggi. E una scelta lessicale che pare quasi adatta a un film di Miyazaki: Transitioning away.
Per l’analisi di dettaglio del risultato della COP28 rinvio alla lunga, dettagliatissima, analisi fatta da Italian Climate Network, del cui team ho l’onore e il piacere di far parte. (Anche perché servirebbero almeno tre metri di post…).

Ancora un’ultima cosa, però, voglio condividerla con chi è arrivato a leggere fin qui: come spesso ho detto e mi son detto con gli amici e con gli esperti di COP, la Conferenza delle Parti non è ottimale, è senza dubbio migliorabile, ma resta -a oggi- l’unica sede in cui è possibile che si arrivi tramite negoziati di tutto il mondo a risultati e giorni storici, come quelli di Parigi 2015. O come quelli di mercoledì scorso a Dubai, 13 dicembre 2023.
Il transitioning away non è il phase out? Forse, o forse no. Senza dubbio è oggi il risultato migliore che si potesse avere in queste condizioni. Come ha scritto molto bene Bill McKibben, ora la diplomazia ha finito. Ora dipende tutto dalla politica. E dipende anche da noi. E come ha colto benissimo Ferdinando Cotugno, sono 34 parole, ma possono salvare questo pianeta.
Tanto si poteva ottenere, tanto si può migliorare. Ma oggi l’uscita dai fossili è scritta lì, nero su bianco. Grazie ai negoziati sul clima di tutto il mondo. Forse avremmo dovuto aspettarcelo già dal saluto di benvenuto della COP di Dubai: Hayyakum! In arabo, vuol dire “lunga vita a te“.
Quello che ho imparato, personalmente e direttamente, è che in diplomazia, nei negoziati, non è finita finché non arriva la fine. A Dubai, dal possibile e precocemente annunciato fallimento, abbiamo visto passare la Storia.
Scusate se è poco, anzi: scusate se è COP.
Foto. Centrale: UNFCCC Platform; Plenaria: Kiara Worth, UN Climate Change






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